www.thinkmagazine2.org
tmag arte scienza contributi dalla rete annotazioni

IL RITORNO

 

Erano i primi di settembre, e nel deserto del Nevada faceva un gran caldo. La sabbia sotto i nostri piedi era rossa come il sangue di un grosso animale. Il sole era alto ed i nostri sguardi erano tutti rivolti al cielo. Gli sceriffi della contea avevano organizzato posti di blocco sull'unica e solitaria strada che portava all'area: nessuno sarebbe passato senza il cartellino di riconoscimento ed i documenti della NASA o dei Servizi di Sicurezza del Pentagono. Questo deserto non era mai stato cosi' affollato, gli uomini dei servizi di sicurezza, i tecnici dell'Ente Spaziale con tutte le loro attrezzature di rilevazione ed i loro medici con il kit d'analisi e medicazione.

 Poi c'ero io. Alex Relight, capitano dell'aviazione degli Stati Uniti d'America, pilota di riserva del primo volo umano diretto su Giove. Ero stato scartato dalla rosa dei titolari per una malattia tropicale che mi ero beccato in Messico poco prima della partenza; niente di grave, ma tutto avrebbe influito lassu', anche la piu' dolce delle manie, come succhiarsi il dito. I cinque membri della prima spedizione sul gigante della galassia dovevano essere perfetti, fisicamente e psicologicamente.

Quante volte, in quei mesi, avevo invidiato i miei colleghi che erano stati scelti per il primo volo con atterraggio sul gigante, Tom Wenders, Marco Paleso e gli altri tre; ma dopo quello che era successo non ero piu' stato capace di pensare ad un volo spaziale come ad una cosa positiva. Forse anche i piloti dell'Apollo 13 avevano pensato la stessa cosa.

Il segnale dello Shuttle, o meglio della navicella di rientro, aveva iniziato a lampeggiare, voleva dire che era appena entrata nell'atmosfera della Terra. Pochi minuti e si sarebbe vista ad occhio nudo, penzolare con il paracadute con la sua bandiera americana, in discesa lenta, verso di noi. Come era gia' successo. Ma questa volta era diverso, da sei mesi era tutto diverso, nella vita di tutti non ci sarebbe piu' stata la sicurezza di prima.

'Alex, sei nervoso, cerca di rilassarti, ormai ci sei abituato'. Morgan Farrel era il capo della sicurezza dei servizi segreti, in questi mesi avevo imparato a conoscerlo ed ero diventato quasi suo amico. Era sempre cosi' freddo, cosi' sicuro di tutto, ma forse perche' i cinque membri dell'equipaggio non erano stati suoi amici. Non aveva passato gli ultimi due anni con loro, preparando la missione su Giove. Mangiato con loro, sudato con loro, dormito, studiato, condiviso preoccupazioni e gioie, dolori. La vita.

Per me ogni volta era piu' difficile, ma dovevamo farlo.

Adesso si intravedeva la navicella, il modulo di atterraggio, con il suo paracadute, scendere lenta verso l'area di deserto occupata da noi. A terra c'era un gran movimento ed io iniziavo a sudare freddo, ed a sentire come una specie di tenaglia stringermi il cuore Erano stati i miei amici, i miei compagni di vita per anni.

'Eccola. Fra dieci minuti il contatto con la sabbia. Preparatevi con il metal detector e fatevi agganciare la tuta ed il casco dal vicino alla vostra destra'.

Alla mia destra c'era  Morgan, ed alla mia sinistra c'era un tale, Dominique Gonzalez, uno dei patologi della Nasa. Le nostre tute isolanti erano dotate di termoregolazione interna, tutto questo non faceva altro che rendere piu' evidente il mio stato di alterazione. Sudavo. Venticinque gradi interni, trentanove fuori.

Guardavo in alto attraverso il filtro ottico del casco, e riuscivo a vedere nitidamente il modulo di atterraggio, bianco e limpido, con la bandiera stampata accanto al numero del volo, al nome ed il codice di immatricolazione, tutto perfetto.

Morgan mi si avvicino' dandomi una pacca sulla spalla, 'Alex, tutto pronto, il furgone e' quello blu, noi due lontano dalla porta, come al solito. La pistola e' carica?'.

Non riuscivo a parlare, ma feci segno di si con la testa.

La navetta era atterrata, tutti i presenti presero il loro posto, i dottori ed i tecnici in prima fila, tutti con scafandri e tute ipotermiche.

I cinque astronauti uscirono piano, in fila uno per volta, con le loro tute bianche della Nasa, senza i caschi, in apparente perfetta salute fisica. I primi due erano la Dottoressa Solina Grigorjova, la bella russa, e l' italiano Paleso; quindi il capitano Wenders, il colonnello Konrad ed il tecnico  Davidofh. Si guardavano intorno un poco stupiti. Marco inizio' per primo a parlare : 'Ma che cavolo di benvenuto ci avete preparato, le donne e lo spumante?'.

Quindi mi guardo' sorridendo ed io mi sforzai di ricambiare. Si avvicino' e mi abbraccio' forte. Devo ammettere che a stento repressi le lacrime, ed un forte senso di rabbia sali' improvvisamente alla mia testa. Sicuramente qualche infiltrato televisivo stava riprendendo l'arrivo, forse nascosto dietro qualche roccia lontana. 'Com' e' andata ragazzi?'. Ero riuscito a parlare. Fu Wenders a rispondere, mentre si avvicinava per stringermi la mano attraverso i guanti. 'Un gioco da ragazzi, mancavi solo tu, amico'.

Mentre Konrad iniziava a lamentarsi 'Ma dove cavolo sono le nostre mogli, le nostre mamme, vengono sempre al nostro ritorno. Cazzo che accoglienza di merda, le brutte facce di questi dottori del cavolo che guardano gli occhi e misurano la pressione. Se volete un qualcosa di buono da analizzare c'e' rimasto un po' di vomito di Davidofh sul pavimento del modulo'.  Risero tutti, che attori.

'Venite con noi, vi portiamo subito al centro di lancio per ulteriori controlli e poi via dalle mamme e dalle mogli'. Era stato Morgan a parlare, facendo segno di entrare nel camioncino blindato di color blu.

'Hei, Alex viene con noi?'

'Mi sembra il minimo che mi dovete, Marco, almeno questo tragitto avro' il diritto di godermelo con la tuta, credendo di essere stato  lassu' con voi'.

'Allora dovro' sopportare il tuo sguardo d'invidia per altre trenta miglia'. Ridemmo ancora, mentre entravamo nel furgone. Io e Morgan in testa, accanto al posto dei conducenti, il gruppo dello Shuttle in fondo, accanto all'uscita, sigillata dall'esterno.

'Cazzo ci hanno rinchiuso ancora una volta!'.

'Vedo che la voglia di scherzare non vi e' passata'. Aveva parlato Morgan con il sorriso sulle labbra, ma avevo letto nei suoi occhi la voglia di sparare subito, nel furgone, senza rispettare i piani, senza essere entrati nella zona di sicurezza.

I ragazzi erano contenti, stanchi ma con una voglia di parlare che non lasciava tregua. Furono mille le domande, sulle famiglie, su come andava la vita in America e nel resto del mondo,  le quotazioni in borsa, chi aveva vinto il campionato di Baseball o di Football, e tutto quello che si erano persi durante quell'anno nello spazio e poi su Giove. Mentre il tempo passava. Fu Wenders ad accorgersi per primo che qualcosa non andava.

'Ma dove cavolo stiamo andando? Dovremmo essere gia' arrivati da mezzora?'.

Morgan si alzo' in piedi e picchio' un colpo sulla parete del furgone che dava sull'abitacolo di guida. I conducenti fermarono il mezzo. 'Infatti siamo arrivati. Scendete, per favore'.  Aveva tirato fuori la pistola dalla tuta, e cosi' avevo fatto anche io. 'Ma cosa cazzo' Lo sguardo stupito degli astronauti era un altro colpo al cuore. 'Alex, ma che razza di scherzo e' questo!'. Non riuscivo a guardarli negli occhi ma risposi. 'Per favore, Tom, non rendetemi la cosa piu' difficile, scendete. Per favore, dopo vi spiegheremo, fuori'.

Il portello si era aperto ed altri due uomini della sicurezza, armati di fucili a pompa, facevano cenno di scendere. Eravamo in pieno deserto, circondati da un cumulo di gigantesche rocce, nessuno ci avrebbe visti. I piloti dello Shuttle scesero e si incamminarono secondo le indicazioni di Morgan e di altri suoi uomini. Io ero in fondo alla fila, alle loro spalle e le mani mi tremavano.

'Bene ci siamo, adesso fermatevi e mettetevi in fila'.  Wenders e gli altri si misero in fila, sempre facendo domande e con lo sguardo piu' stupito che mai. Negli occhi della Dottoressa Solina si leggeva il terrore, forse iniziava a capire le nostre intenzioni. Il primo a sparare fu Morgan, poi gli altri uomini, quindi anch' io, senza mirare, alla testa, alle braccia, alle gambe, forse alle rocce  circostanti, tanto non ero li' per quello scopo. Ero servito solo a metterli a loro agio, solo una piccola copertura, per non farli sospettare di niente. Mi venne da rimettere e mi abbassai vicino al furgone per farlo.

'Alex, tutte le volte'. Era Morgan, forse mi capiva, ma quella scena succedeva ogni volta. Mi alzai piano e lo guardai, ed il solito discorso mi venne fuori dalle labbra: 'Ma e' sicuro? Sembravano cosi' veri, sembravano proprio loro'.

'Alex, lo sappiamo benissimo tutti che lo Shuttle non e' mai arrivato su Giove, che la navetta si e' schiantata nella sua atmosfera. E che questa e' gia' la quarta navetta che ritorna con il solito equipaggio, da ormai sei mesi. Abbiamo venti i morti nei nostri laboratori sotto analisi'.

'Ma perche' i nostri patologi dicono che e' tutto in perfette condizioni, perche' dicono che sono proprio loro, e perche' continuano a tornare'.

'Non so darti una risposta, nessuno lo sa ancora, ma e' certo, che, qualunque cosa siano, non sono i tuoi amici. Te lo ripeto ancora una volta, loro sono morti durante l'esplosione della navetta, in orbita intorno a Giove'.

Mi ripulii la bocca e saltai sul camion. Un gruppo di tecnici caricava i corpi su altri furgoni; sarebbero finiti nei centri di studio e sperimentazione della Nasa.

Alex Lassi