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Nuovi precetti per una nuova vita etica

 

Singer Peter, La vita come si dovrebbe, Il Saggiatore, Milano 2001, pp. 382

(ed. or.: Writings on an Ethical Life, Ecco Press 2000; trad. it. a cura di Enza Ferreri, Stefano Rini, Stefano Montes, Romano Salvatore)

Quando negli anni '70 John Searle, illustre filosofo del linguaggio ed eminente docente a Berkeley, provo' a tenere una lezione di etica sulla derivabilita' di un "dovere" da un "essere", l'uditorio si ribello' violentemente, fino a rendere impossibile il proseguimento della lezione: gli studenti, invece che apprendere tutto quello che c'era da sapere sulla legge di Hume, preferivano discutere sulla guerra del Vietnam.

Dopo pochi anni Peter Singer, filosofo australiano perfezionatosi in Inghilterra, intendeva battere il cammino tracciato da quel manipolo di studenti e di applicare l'etica a problemi concreti, come la disobbedienza civile, la tutela degli animali, la fame nei paesi sottosviluppati, l'eutanasia, l'aborto. La vita come si dovrebbe, il cui titolo ricalca in modo forse troppo civettuolo un'altra opera di Singer, How Are We To Live? , e' una raccolta di saggi, pubblicati originariamente su riviste filosofiche e non, e di brani estrapolati dai libri singeriani che hanno profondamente segnato l'etica pratica. Fedelmente al campo coperto dagli interessi di Singer, gli articoli sono divisi in 5 sezioni: nella prima viene discusso il ruolo che l'etica puo' e deve rivestire nella risoluzione dei problemi che affliggono la civilta' moderna, la seconda prende in esame il trattamento degli animali e dell'ambiente, la terza si occupa di questioni di vita e di morte, la quarta prende in esame gli aspetti piu' marcatamente "politici" e "militanti" della posizione singeriana. La quinta comprende invece uno scritto autobiografico sulla liberazione animale, una celebre difesa dopo le accuse di nazismo che sono state rivolte all'autore in Germania e un'intervista in cui Singer ha modo di chiarire diversi punti controversi delle sue idee.

E forse quest'ultima sezione riassume in modo emblematico il significato di questa antologia: la pubblicazione di una raccolta di scritti singeriani, piu' che un'operazione di mercato, e' l'occasione per dissipare le troppe nubi che si sono addensate sulle tesi del filosofo australiano: come rileva lo stesso Singer nell'Introduzione: "mentre tutti discutevano delle tesi di Peter Singer, queste discussioni erano per lo piu' basate su brevi citazioni e compendi di seconda mano. Molti avevano opinioni estremamente precise sulle mie idee, ma pochi avevano letto davvero i miei libri e i miei articoli" (p. 11). Una collezione di scritti e' il modo migliore perche' anche i critici possano finalmente muovere obiezioni non in base a quello che hanno sentito dire ma in base a cio' che hanno potuto leggere. Del resto Singer e' per vocazione un filosofo incline al dialogo; e' del resto indicativa l'amarezza provata quando fu accusato di nazismo, non solo perche' nipote di deportati ebrei, ma anche perche' fu in molti casi impossibile instaurare un dialogo con chi lo contestava in modo cosi' pesante. La "libera discussione delle idee accademiche" e' un elemento decisivo per riuscire a combattere l'intolleranza e per portare qualche progresso nel campo dell'etica applicata (pp. 344-345).

Nell'Introduzione Singer mette in bene in evidenza i punti fondamentali delle sue proposte: il dolore in se' e' negativo e pertanto sono morali tutti quegli atti che hanno come conseguenza la promozione della felicita' e del piacere e l'eliminazione del dolore. Chiaramente la capacita' di provare piacere e dolore non appartiene solo agli esseri umani ma viene condivisa dalla maggiorparte degli animali non-umani, che l'etica non puo' quindi trascurare. Ma, quando dobbiamo stabilire se uccidere un individuo e' giusto o sbagliato non dobbiamo guardare a quale specie, a quale razza o a quale sesso appartiene l'essere ma alle caratteristiche moralmente importanti, come il suo desiderio di continuare a vivere o il tipo di vita che puo' condurre. In merito a cio' non si deve dimenticare che la responsabilita' non copre solo i nostri atti ma anche le nostre omissioni (p. 13).

Da queste premesse, abbozzate in modo grossolano, si snoda tutta l'etica applicata di Singer: e' ingiusto causare dolore agli animali ed e' doveroso il vegetarianesimo, dato che la moderna industria alimentare e' costretta, in nome dell'utile economico, a usare metodi dolorosi di allevamento; e' giusto concedere l'eutanasia ai malati terminali che la richiedono e che soffrono pene fisiche e psicologiche; sono giusti sia l'aborto sia l'infanticidio, soprattutto se il futuro del bambino sara' vessato da una pessima qualita' della vita; l'astenerci dal prestare aiuti economici e sostegno ai paesi sottosviluppati, in cui le persone muiono di fame, ci rende moralmente colpevoli, come se stessimo uccidendo loro in modo diretto. Come si vede da questa rapida, e per molti versi incompleta, carrellata, le tesi di Singer non possono [non]* apparire sorprendenti e audaci. Come si e' espresso il filosofo Bernard Williams: "alcuni autori utilitaristi tendono ad aumentare un senso di colpa inderminata nei loro lettori. Peter Singer ne e' un esempio e nel suo libro, Etica pratica, e' evidentemente interessato piu' a produrre un effetto simile che a gettare delle basi teoriche, le quali ricevono una trattazione molto superficiale" (L'etica e i limiti della filosofia). Le opinioni di Singer sono sicuramente scomodanti, perche' colpiscono direttamente alcuni punti fermi del nostro pensiero comune e tentano di scalfire i dogmi tradizionalmente accettati dell'etica tradizionale. E' pur vero che non lo fanno mai per puro gusto di polemica e di provocazione ma perche' il mondo moderno, per effetto della secolarizzazione e dello sviluppo tecnologico, ha creato situazioni in cui il nostro senso morale ordinario corre il rischio di sentirsi spaesato e di creare sofferenza addizionale applicando categorie etiche oramai superate e insufficienti.

Senza entrare nel merito delle singole tesi del filosofo australiano, esiste tuttavia qualcosa di vero nel giudizio di Williams: l'eccessiva vena divulgatoria di Singer causa una certa superficialita' nella presentazione di alcune tesi e delle giustificazioni etiche che le sottendono, tanto da meritarsi l'ingeneroso epiteto di "nuovo Mose' della bioetica" (Viola F., Dalla natura ai diritti). Inoltre alcune spinose questioni etiche vengono esposte e trattate con eccessiva disinvoltura, come il problema dell'infanticidio. Del resto l'ispirazione profondamente anglosassone dell'etica singeriana porta l'autore ad esasperare un certo individualismo metodologico di fondo, fino a trascurare un fatto essenziale: ogni decisione etica si colloca in un contesto culturale, intessuto di credenze, ragioni, giustificazioni che tradizionalmente orientano il nostro agire quotidiano. Puo' ben darsi che questo complesso sia da rivedere e Singer giustamente sottolinea come sia doveroso interrogarsi continuamente sulla validita' delle convizioni inveterate. Ma un'analisi critica di questo tipo e' anche un lavoro di mediazione tra il "vecchio" e il potenzialmente "nuovo", soprattutto quando le proposte in materia etica non debbano valere soltanto come posizioni individuali ma anche come linee di condotta collettiva. Inoltre gioverebbe anche una maggiore attenzione ad orientamenti etici non analitici, una via che non sempre viene battuta da chi si occupa di bioetica da un punto di vista analitico, ma che potrebbe rivelarsi proficua nell'elaborazione di categorie etiche convincenti per i problemi biomedici.

Si consiglia tuttavia la lettura del libro, sia perche' effettivamente stimolante per l'avvio di un dibattito (la bioetica deve trarre linfa vitale dal dibattito e dalla discussione) sia perche' consente di fugare alcune interpretazioni distorte dell'etica singeriana.

*interpolazione redazionale (rev. 14/7/2003)

Matteo Galletti